L'opera incisa di Beatrice Palazzetti

L'incisione è l'arte di produrre segni su una superficie dura, la matrice, che riceve l'inchiostro e lo cede poi al foglio, dando vita ad un'immagine destinata ad essere moltiplicata ma che conserva comunque l'unicità dell'invenzione. L'incisione in senso lato è una tecnica che si avvale di una determinata materia, da essa scaturisce un progetto creativo, adeguato alle sue caratteristiche. Nel segno, nelle sue infinite variazioni, lunghezze, spessori, incroci, si attua l'opera incisa di Beatrice Palazzetti, la xilografia soprattutto, nata da un interesse e da una tenacia fortissimi, “per forza di mano”, si direbbe, secondo una maniera antica.
Nel Novecento, l'Espressionismo tedesco diede grande impulso alla xilografia, perché legata ad una manualità arcaica, popolare, ricollegabile alla tradizione figurativa del nord Europa, del XV secolo, in cui un artigiano specializzato, “Formschneider” incideva le tavolette che l'artista disegnava. Nella corrosiva e tagliente immagine xilografica, artisti come Kirchner, Pechstein, Nolde, Munch, dichiarano il loro dramma esistenziale, la loro sofferenza interiore, servendosi di una materia tenace, il legno che, allora come oggi, resiste all'azione della mano e del ferro, alla pressione del torchio che imprime la traccia sul foglio. Gesti determinati e sicuri rivelano la loro viva presenza nel tratto xilografico che ha dunque un carattere essenziale “parsimonioso”, rigido ed angoloso, valorizzato nella fibra naturale.
Nell'iter artistico di Beatrice Palazzetti, la personale esperienza didattica individua e condiziona la scelta dello strumento espressivo: un approccio occasionale suscita in lei un forte propensione, quasi passionale verso la xilografia, che contenendo forza e lirismo, sembra risolvere i dissidi formali all'interno della propria espressività. Nell'assoluta contrapposizione del bianco e del nero, alternati in una poetica dimensione, non scalfita dall'uso del colore, si condensa tutta la sapienza interpretativa della forma, in un percorso contraddittorio a volte lacerante, che ora mette in luce aspetti speculativi, ora di semplice comunicazione. Il legno massello ha una sua anima, nascosta nelle trame, nelle irregolarità ed asperità della superficie, offre l'input alla creazione e non è un ostacolo cui opporre violenza, piuttosto lo spazio del “fare” che, tingendosi d'inchiostro, ne assorbe tutta l'essenza. Il repertorio iconografico scelto dall'artista, travalica i limiti che pur appartengono all'universo naturale, biomorfico: dai fogli sembra emergere la sostanza della corteccia, dei rami, delle foglie, di una materia primordiale. Si ravvisa uno schema compositivo di gusto onirico, uno spazio amniotico, simile agli abissi marini, popolato di esseri primigeni, racchiusi in grandi valve con gli occhi “sbarrati” a cercare nel buio un barlume di luce. Togliere la materia con il bulino, la sgorbia, con arnesi semplici e magici al contempo, per far affiorare poi da essa stessa l'immagine, con la sua anima, è per la Palazzetti un gioco affascinante ed intrigante, carico di storia e di cultura. Nel metodo xilografico, di incisione diretta l'artista ritrova naturalezza e spontaneità e soprattutto la possibilità di cambiare “rotta” in corso d'opera, senza turbare l'idea originaria al contrario di quanto accade nel procedimento indiretto dell'acquaforte, dove un elemento esterno, l'acido, condiziona l'iter progettuale. Bianco, nero, grigio, tonalità “assenti”, configurano un universo poetico, sono dettagli, elementi di un' ipotetica scrittura che codifica la licenza dell'immaginazione, della sensibilità, delle emozioni altrimenti inspiegabili. La seduzione dei non-colori induce l'artista a trarre da essi tutte le possibili gradazioni, che si creano a contatto della luce e del pulviscolo atmosferico. Nella serie delle Strutture, Beatrice Palazzetti scandaglia la sua anima con scatti nervosi, sollecitazioni sensorie, immergendo se stessa nelle spirali avvolgenti ed espanse, nei nodi strutturali che alludono a foreste preistoriche, trame brumose, fondali oceanici, onde sonore, orizzonti lontani. Nell'essenzialità del racconto fatto per “segni”, l'artista configura un diario dove è svelata una segretezza, un'intimità racchiusa nelle pieghe e nelle tracce scavate sulla superficie. È come se si susseguissero nei fogli raffinate annotazioni sorte dai ricordi, dall'esperienza quotidiana ma anche da una cultura artistica che richiama da un lato un surrealismo di valenza cosmica, lontana però dall'automatismo psichico e dall'altro un linguaggio astratto che privilegia la continua iterazione del cerchio, la forma perfetta per eccellenza, simbolo dell'universalità spirituale. Scorrendo i titoli delle opere più recenti, si colgono riferimenti che definiscono spesso una tipologia formale: Trame, Simmetria, o se alludono a brani di puro naturalismo: Paesaggio cosmico, Verso la luce, aspirano comunque a travalicare i confini di una latente riconoscibilità.
Nei fogli sono tracciati frammenti, segmenti interrotti, linee, volute, circonferenze, campiture intersecate e fluttuanti dalla cui trama si generano, come per incanto, ulteriori soluzioni geometrico-fantastiche; spesso appare uno schermo, un fondale su cui si proiettano ombre, profili come riflessi in uno specchio, velari lambiti dal soffio del vento. A volte, si nota ai margini della superficie una “quinta”, una curva più acuminata e scura che affonda il suo profilo lacerante nell'impalpabile tessuto segnico, per poi ritirarsi o indietreggiare, offrendo spazio all'avanzata di un chiarore lunare, trasparente ed adamantino. Nelle immagini xilografiche l'artista esprime il proprio desiderio di assoluto, lanciando quasi una sfida alla legge di gravità: le forme non hanno mai sosta, vagano, non poggiano su nulla, in continuo e precario equilibrio, si rincorrono alla conquista dei territori della fantasia.
Susanna Misiano
Critica d'arte

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